La Definizione delle Liti Fiscali Pendenti, disposta ai sensi dell’art. 39 del D.L. n. 98/2011, ha formato oggetto di discussione da parte della dottrina e della giurisprudenza in ordine agli effetti sui maggiori contributi previdenziali determinati con l’atto di accertamento unificato.
In sintesi, la quaestio iuris che si pone è se la definizione della lite tributaria investa anche i contributi previdenziali e quale sia l’esito dell’accertamento da cui è derivata la maggiore pretesa contributiva.
Nella sentenza in oggetto, a seguito dell’accertamento di un maggior redditoSent_CdA_MI_1571_2017 effettuato dall’Agenzia delle Entrate di Pavia nei confronti della titolare di un’attività commerciale, l’INPS notificava a quest’ultima un Avviso di Addebito avente ad oggetto i contributi da versare sulla differenza tra il reddito dichiarato e quello risultante dall’accertamento.
La contribuente proponeva opposizione dinanzi al Tribunale del Lavoro di Pavia, sostenendo che la pretesa contributiva dell’INPS fosse venuta meno per effetto della sopravvenuta definizione del contenzioso tributario ai sensi dell’art. 39, comma 12, d.l. 6 luglio 2011 n. 98, conv. in l. 15 luglio 2011 n. 111.
Il Tribunale accoglieva l’opposizione con sentenza n. 275/14, e revocava l’avviso di addebito.
L’INPS proponeva quindi appello avverso la sentenza di primo grado, chiedendone l’integrale riforma. La Corte d’Appello di Milano, con la Sentenza n. 1571/2017 del 12 settembre 2017, rigettava integralmente l’appello dell’Istituto, manifestando una linea interpretativa univoca a favore del ricorrente, rispetto ai vari orientamenti formati negli anni dalla giurisprudenza di merito.
L’operazione esegetica della Corte territoriale parte dal presupposto che «attraverso il procedimento di adesione alla Definizione delle Liti Fiscali Pendenti, si è determinata la definizione del contenzioso tributario, con la declaratoria tuttavia di mera cessazione della materia del contendere a seguito di condono, senza alcuna statuizione nel merito dell’accertamento fiscale oggetto del ricorso proposto avanti alla Commissione tributaria stessa. Tale forma di estinzione del giudizio non è idonea ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale con la conseguenza che l’accertamento fiscale, originariamente trasmesso all’INPS da parte dell’Agenzia dell’Entrate, non è stato in alcun modo rimosso ma non se ne è neppure accertata la fondatezza nel merito. Ciò non significa escludere tout court la valenza del suddetto accertamento, bensì, occorre considerarlo “un atto ricognitivo che come tale può servire da elemento di prova in altri processi nei quali rilevi la consistenza del reddito dell’interessato, come è nel caso di specie…”
Il principio generale risolutivo promosso dalla Corte, viene individuato nel considerare l’accertamento: «un elemento probatorio che vale nella misura in cui esso sia tale da rispettare le proprie caratteristiche intrinseche di presunzione semplice”; pertanto, nel giudizio previdenziale conseguente ad un accertamento tributario, già oggetto di una controversia fiscale definita agevolmente con il condono ex. art. 39, comma 12 del D.l. 98/2011, convertito nella legge 11/2011, spetterà all’INPS provare la fondatezza della propria pretesa creditoria”.
Nella fattispecie, l’INPS, invocando erroneamente solo la definitività dell’accertamento tributario e dunque la sua indiscutibilità, non ha provato e fornito altri elementi in merito alla fondatezza e congruità dei risultati dedotti nel suddetto accertamento, e dunque in sostanza, il fondamento della propria pretesa contributiva, dovendosi dunque concludere che: “le presunzioni semplici desumibili dall’accertamento fiscale dell’agenzia dell’entrate (Cfr. SS.UU 26635/2009) non rispondono ai necessari criteri di precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c. per ritenere provata la pretesa creditoria dell’Istituto”.
Non rimane, allora, che attendere la pronuncia della Suprema Corte affinché, nell’esercizio della sua funzione normofilattica, porti chiarezza sul punto.